Chiudo gli occhi e mi lascio trasportare dalle suadenti note della Mome Piaf, uno dei tanti pseudonimi della cantante meglio conosciuta come Edith Piaf.

Tragica la sua storia, ma grande ed unica la sua musica. È stata attiva tra gli anni Trenta e i Sessanta dello scorso secolo, e la sua voce continua a cantare nei bistrot e nelle rues della città da lei tanto amata. Canzoni che ci riportano ad una Parigi di fine anni ’30, dei lampioni a gas, delle ballerine Charleston nei Caffè, delle automobili d’epoca e delle signore dagli abiti eleganti e raffinati. Pilastro della cultura francese, ha portato in tutto il mondo la passionalità e la dolcezza del suo popolo.

Come dimenticare “La vie en rose”, “La foule” o “Paris”? Come non ripensare all’amore che lei cantava, nei suoi concerti e negli spettacoli, ma che tanto le ha distrutto il cuore?

Già da bambina, nata da artisti di strada, Edith Giovanna Gassion canta per sopravvivere. Viene salvata dalla miseria a 20 anni da un impresario, Louis Leplée, grazie al quale debutta, diventando un fenomeno internazionale. Assume il nome di “Piaf”, che nell’argot parigino significa “passerotto”. Ed è così che viene definita, un piccolo usignolo in grado di modulare dolcemente la voce, ma anche di usarla con toni aspri e rabbiosi.

Il suo primo disco, Les Momes de la cloche, viene pubblicato nel 1936. Nel 1946 scrive le parole della bellissima ed indimenticabile “La vie en rose” e pochi anni dopo, nel 1948, conosce un pugile francese, Marcel Cerdan, di cui si innamora follemente. Purtroppo, quest’ultimo muore in un incidente aereo, e “la vie en rose” della Piaf si frantuma, sgretolandosi. A lui è dedicato “L’Hymne à l’amour”, cantato la sera dell’incidente, quando Edith è in preda alla disperazione.

In seguito, a causa della depressione e dell’artrite, inizia a fare uso di una grande quantità di medicinali, che la porterà alla morte. Muore a Grasse nel 1963, ma viene sepolta a Parigi, la città del suo cuore. La Piaf rimane una delle icone del Ventesimo secolo e mai verrà dimenticata, non finché ci sarà qualcuno che riempirà delle sue melodie nostalgiche e struggenti una stanza, una casa, un bistrot.

“Parigi ci ritroveremo, amica mia, mia grande Parigi”, cantava lei. E così è stato.

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